CENTRO STUDI E RICERCHE PIER PAOLO PASOLINI (EMUI_ ROMA · MADRID)
 La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi
 
Susanna Colussi
Casarsa della Delizia, 10/03/1891
Udine, 01/02/1981





«Capinera Solitaria» , «mammetta», «pitinicia», «picinina»

Ogni volta che mi chiedono di raccontare qualcosa su mia madre,di ricordare qualcosa di lei, è sempre la stessa immagine che mi viene in mente.Siamo a Sacile, nella primavera del 1929 o del 1931, rata mamma e io camminiamo per il sentiero di un prato abbastanza fuori dal paese; siamo soli, completamente soli. Intorno a noi ci sono i cespugli appena ingemmati, ma con l’aspetto ancora invernale; anche gli alberi sono nudi, e, attraverso le distese dei tronchi neri, si intravedono in fondo le montagne azzurre. Ma le primule sono già nate. Le prode dei fossi ne sono piene. Ciò mi dà una gioia infinita che anche adesso, mentre ne parlo, mi soffoca. Stringo forte il braccio di mia madre (cammino infatti a braccetto con lei) e affondo la guancia nella povera pelliccia che essa indossa: in quella pelliccia sento il profumo della primavera, un miscuglio di gelo e di tepore, di fango odoroso e di fiori ancora inodori, di casa e di campagna. Questo odore della povera pelliccia di mia madre è l’odore della mia vita. (Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, Oscar Mondadori, 2005 p.41)


È difficile dire con parole di figlio / ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. /  Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, / ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. / Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: / è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia. / Sei insostituibile. Per questo è dannata / alla solitudine la vita che mi hai data. / E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame / d’amore, dell’amore di corpi senza anima. / Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu / sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù: / ho passato l’infanzia schiavo di questo senso / alto, irrimediabile, di un impegno immenso. / Era l’unico modo per sentire la vita, / l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita. / Sopravviviamo: ed è la confusione / di una vita rinata fuori dalla ragione. / Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire. / Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…  (Pier Paolo Pasolini, Supplica a mia madre. Da Poesia in forma di rosa)


Quando Pasolini girò nel 1964 Il Vangelo secondo Matteo fece interpretare alla mamma il ruolo di Maria. Scrive Enzo Siciliano a pag. 315, op. cit.: Questa scelta fu un gesto dichiarativo d’amore per lei, ma segna anche l’esplicarsi di un cristianesimo arcaico, quasi inattingibile dalla ragione: interpretare la figura di Maria di Nazareth come madre ‘unica’, identificabile soltanto nella propria madre.


La rosa di Susanna
(Andrea di Robilant: Sulle tracce di una rosa perduta, Corbaccio, Milano 2014)

Susanna Colussi, la madre di Pasolini, nel suo paese d'origine, Casarsa della Delizia, aveva un orto dove piantava ortaggi e tanti fiori fra i quali una rosa color porpora che i vicini chiamavano la rosa di Susanna (le donne del borgo si scambiavano le rose, che spesso mantenevano il nome della prima proprietaria). Dopo il trasferimento di Pasolini e della madre a Roma, la rosa continuò a crescere tra rovi ed erbacce nel vecchio orto abbandonato. Molti anni dopo la morte dello scrittore, il comune di Casarsa trasformò la casa di famiglia in un museo/centro studi.

L'architetto paesaggista Paolo de Rocco, che ricordava la storia della rosa di Susanna, tornò dove un tempo c'era l'orto. Lo trovò sepolto sotto i calcinacci dei lavori di restauro dell'abitazione. Alcune rose, però, erano incredibilmente ancora vive. De Rocco fece una talea, ottenne una nuova pianta e la interrò sulla tomba dove Pasolini riposa accanto alla madre. Nessuno è mai riuscito ad identificarla e la gente del posto continua a chiamarla “la rosa di Susanna".

Cimitero di Casarsa » youtube



Der Zeit ihre Kunst, der Kunst ihre Freiheit - Europa, Fin-de-Siécle: Pensamiento y Cultura - A la Época su Arte, al Arte su Libertad

 La mia indipendenza, che è la mia forza, implica solitudine, che è la mia debolezza